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Packaging e plastica usa e getta - Materially

Packaging e plastica usa-e-getta

Le necessità di sicurezza sanitaria imposte dalla pandemia hanno reintrodotto un uso massiccio di prodotti usa-e-getta, in particolare in plastica, che sembravano destinati ad essere progressivamente abbandonati di fronte alle evidenti conseguenze del loro impatto ambientale

 

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 “La rivincita della plastica”, hanno titolato diverse testate; e in effetti mai come in questo momento si è resa evidente la capacità di questa famiglia di materiali di rispondere in maniera veloce ed economica a esigenze di protezione, sia di persone che di prodotti. 

Siamo dunque di fronte a una repentina marcia indietro rispetto alla sensibilizzazione operata negli ultimi anni verso la necessità di una riduzione della plastica nella nostra vita quotidiana?
Ci sono diversi elementi di criticità che fanno pensare che la “deplasticizzazione” dell’ambiente abbia avuto una battuta d’arresto.

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 Photo by Markus Winkler on Unsplash

Il primo e più evidente elemento è l’effettiva moltiplicazione dei dispositivi di protezione individuale richiesti e obbligatori per legge: dalle protezioni vere e proprie nell’ambito di professioni mediche, fino a sacchetti e mantelle per i parrucchieri passando per i più banali, ma universalmente utilizzati, guanti e mascherine. Si tratta di prodotti nuovi, di cui ancora non sono chiare le modalità di smaltimento. A rigore, andrebbero inceneriti come dispositivi medici potenzialmente contaminati; ma non esiste un sistema di raccolta dedicato, e questi rifiuti finiscono facilmente nell’indifferenziato oppure, ancora peggio, abbandonati nell’ambiente. 

Nei supermercati sono poi aumentate le confezioni monouso nei reparti frutta e verdura, e nelle situazioni di comunità, in cui forte era stato lo stimolo verso l’eliminazione del monouso a favore di stoviglie riutilizzabili, le necessità di igiene e sicurezza hanno costretto a un repentino recupero dell’usa-e-getta.

Ma l’elemento più significativo e pericoloso rimane quello economico. Con il crollo delle quotazioni del petrolio dovuto alla pandemia, il divario tra il prezzo delle materie plastiche vergini e quelle da riciclo è ulteriormente aumentato, rendendo queste ultime sempre meno competitive. Le diverse forme di plastic-tax proposte sono inoltre state posticipate in molti paesi, incluso il nostro, per evitare l’aumento di costo di prodotti che risultano essere obbligatori per legge.

E tuttavia ci sono anche segnali che inducono all’ottimismo. Le aziende accelerano nella ricerca e introduzione di soluzioni per il plastic replacement nell’imballaggio; tra i tanti, due esempi di rilievo sono Nestlé, con l’imballaggio flessibile in carta riciclabile al 100% della barretta YES!, e Yomo, che ha da poco lanciato una nuova confezione con vasetto in carta. Una soluzione potenzialmente rivoluzionaria e non banale dal punto di vista tecnico.

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Rispetto ai DPI, è già in atto, e in tempi relativamente brevi, il passaggio dalla mascherina monouso a quella riutilizzabile, tant’è che Federfarma segnala un calo di vendite di mascherine chirurgiche di circa i 2/3.

Infine: i pacchetti di misure economiche messe in campo dall’Unione Europea sono recepite dai singoli stati e trasformate in policy che puntano al rilancio dello sviluppo economico attraverso pratiche di economia circolare, con il materiale come elemento-chiave di questa trasformazione.

Insomma, i segnali positivi ci sembrano più profondi e strutturali degli indubbi (e necessari) provvedimenti che farebbero pensare ad una marcia indietro nelle politiche di salvaguardia dell’ambiente. E paradossalmente le misure post-COVID potrebbero essere l’occasione per svoltare davvero.

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