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Wearloop e il “lavaggio” ad aria

wearloop 2Image courtesy of Eric Saldanha

Abbiamo già trattato in diversi articoli il tema dell’enorme impatto climatico che la cultura del fast fashion ha sul nostro pianeta. Al momento infatti l’industria tessile è responsabile del 26% delle emissioni di CO2 mondiali, partecipando quindi in maniera attiva al disastroso regime che ci sta portando, se non invertito, a un aumento della temperatura media mondiale in pochi decenni (l’obiettivo attuale, se tutte le politiche di contenimento fossero rispettate dai paesi, porterebbe comunque a un aumento di 1.5° entro il 2030, un dato non certo rassicurante).

Nel toccare l’argomento però è facile concentrarsi unicamente sul lato più evidente del problema: la produzione dei capi tessili.

In realtà metà delle emissioni del settore sono da imputare alla vita quotidiana dei nostri capi, precisamente ai continui cicli di lavaggio in lavatrice, asciugatura e stiratura a cui sono soggetti.

La nostra società incita le persone a un continuo processo di lavaggio dei propri vestiti, un processo di routine ormai diventato consuetudine e che addirittura influenza il layout degli spazi in cui viviamo. Le nostre case prevedono uno spazio per i vestiti puliti e uno per i vestiti sporchi e considerati da lavare, ma non uno definito per i vestiti già indossati ma che possono essere nuovamente utilizzati.

Lo stigma sociale contro odori, pieghe e sudore ci spinge a un immediato lavaggio dei nostri capi, non necessario a meno che essi non presentino evidenti macchie o sporcizia sulla loro superficie.

Appare quindi necessario differenziare i nostri processi di pulizia, introducendo un’alternativa alla lavatrice in grado di purificare i nostri vestiti dai normali effetti della quotidianità, in grado di renderli così indossabili diverse volte.

 

Video courtesy of Eric Saldanha and the Royal College of Art

Da questo obiettivo nasce Wearloop, un progetto portato avanti da Eric Saldanha all’interno del Royal College of Art di Londra e in collaborazione con OPPO.

La ricerca puntava a spingere gli studenti a sviluppare progetti che ragionassero sul tema della tecnologia in relazione alla quotidianità, nel tentativo di umanizzare l’uso della stessa, adattandola alle nostre abitudini relazionali.

Wearloop si presenta come un oggetto semplice, un oggetto verticale metallico con una serie di elementi circolari luminosi, che può essere facilmente appeso a un muro, a una porta o in un armadio.

Esso permette di appendere diversi capi contemporaneamente al termine dell’uso quotidiano e, una volta acceso, di pulirli tramite flussi di aria e di raggi di luce UV-C.

Il processo è in grado di eliminare odori, pieghe e diversi tipi di batteri dal tessuto dei capi, moltiplicando le volte in cui essi possono essere indossati nuovamente.

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Image courtesy of Eric Saldanha

 

L’introduzione su larga scala di questo cambio di abitudini e di questa tecnologia avrebbe come conseguenza una sensibile diminuzione dell’impatto ambientale del campo dell’abbigliamento.

Possiamo quindi sperare che il progetto di Eric Saldanha non rimanga un caso isolato, ma sia l’apripista di numerosi progetti in grado di esplorare questo lato della medaglia.

Materially è partner di diversi progetti finanziati dedicati allo sviluppo di nuove tecnologie e soluzioni materiali per ridurre l’impatto ambientale nel settore dell’industria tessile e abbigliamento.

 

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